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Luigi Antonini nel ricordo di Giovanni Antonelli

Nel 1956 Luigi Antonini compiva 60 anni e, dimettendosi dalla carica di direttore centrale di una grande industria romana, abbandonava l’impegno professionale. Non so se egli si ripromettesse di trascorrere un’esistenza di tranquillo pensionato, di certo egli non poteva neanche sospettare di non aver neanche varcato i due terzi della sua provvidenzialmente così lunga vita e non poteva presagire quel che il futuro gli stava per riservare: e d’altro canto nessuno a Spoleto poteva intuire quel che avrebbe significato per la città l’incontro con quest’uomo eccezionale.

In quel momento Luigi Antonini era favorito da particolari circostanze: piena disponibilità del tempo, agevolata dalla mancanza della diretta responsabilità di una sua famiglia, salute eccezionale, larga tranquillità economica. E tutto ciò faceva da cornice ad una indole naturalmente portata prevalentemente all’azione. Si trattava per lui di trovare la giusta strada per porre a frutto questo insieme ideale di favorevoli condizioni e Spoleto fu la giusta strada: un incontro fortunato, un lungo, reciproco, felice scambio, che tanto doveva dare a questa città, ma che tanto in affetto, unanime stima, in amicizie profonde e sincere doveva dare anche ad Antonini.

Dal 1957 egli cominciò a frequentare più assiduamente la villa di Colle Attivoli e fu proprio in occasione di un progettato lavoro sul piazzale dei Cappuccini che Antonini conobbe il presidente dell’Azienda del Turismo, Romolo Dominici, da quegli incontri scaturì in lui il desiderio, sulle prime ancora generico, poi sempre più cosciente e deciso, di rendersi utile a questa città, alla quale si andò avvicinando con sempre maggiore interesse e partecipazione. Ma volle farlo al suo modo, formandosi anzitutto una ampia e solida rete di conoscenze e cercando di penetrare direttamente nel cuore dei problemi, con il suo stile asciutto ed essenziale, che dava agli interlocutori la precisa sensazione di un uomo che, quando trattava di questioni pratiche, non desiderava sprecare tempo e parole.

E divenne fin da allora un vulcanico divoratore del telefono e, fin che la vista glielo consentì, un implacabile corrispondente epistolare, mai contento fino a che non avesse ricevuto comunque adeguata risposta alle sue puntuali domande.

Un giorno, agli inizi del 1960, per suggerimento di Romolo Dominici, Antonini chiese di incontrarmi ed insistette con grande gentilezza per venire nel mio ufficio al Ministero: dopo i primi cortesi convenevoli, soprattutto riguardanti la remota conoscenza delle nostre famiglie, egli estrasse dalla borsa un taccuino pieno di appunti e su un insieme di argomenti, già organizzati secondo un piano organico, volle conoscere il mio parere ed i miei suggerimenti. Nacque da quell’incontro e da tanti altri che seguirono in quel fervido periodo la nostra affettuosa amicizia, alla quale si deve se io sono qui oggi per onorare l’impegno che egli mi strappò tre anni fa, di ricordarlo dopo la sua scomparsa.

Fin dalla prima frequentazione di Luigi Antonini mi si delinearono alcuni tratti caratteristici del suo modo di operare, che sono stati sempre tra i peculiari: la concretezza, la linearità di azione e soprattutto la tenacia e la costanza. Luigi Antonini non ha mai amato la superflua retorica, l’abbellimento inutile, il discorso improduttivo, quando si prefiggeva un obiettivo, lo faceva a ragion veduta e una volta presa una decisione ne misurava le difficoltà e gli ostacoli e lungi dallo scoraggiarsi studiava ogni via per arrivare alla conclusione; non era cioè l’uomo dagli entusiasmi facili e passeggeri, dalle illusorie fiammate di euforia che non si alimentavano di azione concreta e si consumavano in breve tempo senza efficacia. Quando si rendeva conto della impossibilità di una realizzazione o della insormontabilità di un ostacolo, non illudeva nessuno e troncava di netto; conoscendo le potenzialità di questa città, ha sempre preferito obiettivi magari limitati, ma concreti e realizzabili e non credo che abbia mai abbandonato a metà qualche impresa o abbia lasciato qualcosa di incompiuto per errato calcolo o per stanchezza. Già queste doti da sole sarebbero bastate a far di lui un uomo fuor del comune.

La fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60 furono il periodo cruciale dell’avvio dell’impegno di Antonini per Spoleto: erano anni di enorme difficoltà per la città che nel 1958 aveva assistito con impotenza e sgomento al durissimo colpo inferto alla sua economia ed al suo tessuto sociale dalla chiusura delle miniere di Morgnano. Lungi dal godere gli effetti del boom economico che in quel periodo investiva tante regioni del nostro Paese, Spoleto era sull’orlo del baratro di una crisi della quale non si prevedevano gli sbocchi. Eppure proprio in quel drammatico passaggio della nostra storia recente, un provvidenziale soccorso venne a Spoleto dalla scelta di Giancarlo Menotti, su suggerimento di un altro grande realizzatore, amico e benefattore di questa città, Adriano Belli, di dar vita al suo Festival dei Due Mondi. Nonostante fosse impegnata in dure lotte sindacali e sociali, la città tutta credette e favorì, con ammirevole concordia, la nascita di questa grande avventura, che la proiettava in una dimensione fino ad allora sconosciuta e carica di prospettive, solo che si fosse stati capaci di mettere a frutto questa storica occasione: era un problema di strutture, ma anche e soprattutto un problema di uomini, non é qui il caso di far nomi perché tutti, nei loro posti di responsabilità, hanno offerto un ammirevole concorso di intenti e di azione. Ma va detto, però, che tra essi, proprio per quelle doti cui sopra mi riferivo, stava divenendo sempre più centrale la figura di Luigi Antonini.

La prima carica che egli ebbe fu, dal 1961, quella di consigliere dell’Azienda del Turismo, conservata poi fino al 1976, ma anche da prima e senza bisogno di cariche, che non cercò mai (l’ambizione era un difetto a lui sconosciuto), ma accettò sempre con spirito di servizio, egli era andato al di là di questo orizzonte ed aveva sentito il bisogno di creare una Associazione che in certo modo avrebbe dovuto valorizzare le tante simpatie e attenzioni che, proprio per merito del Festival, ma anche del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, del Teatro Lirico Sperimentale, delle mostre d’arte figurativa e di altre attività culturali e artistiche, si venivano concentrando su Spoleto, e che avrebbero dovuto essere messe a frutto concretamente a vantaggio della città: fondò così nel 1960, con un nutrito gruppo di amici, l’Associazione Amici di Spoleto, divenendone il vicepresidente, in pratica l’animatore, perché non si poteva chiedere a Menotti eletto presidente, di occuparsi concretamente di questa iniziativa.

Luigi Antonini ha molto amato e beneficato fino alla fine della sua vita questa Associazione, che egli considerava il mezzo ideale con il quale per tanti anni egli poté agire nelle più svariate direzioni per realizzare tante iniziative, giovandosi del grande prestigio che gli derivava dalla sua eminente posizione sociale, dalla fittissima rete di conoscenze che egli aveva intessuto fino ai massimi livelli dell’organizzazione pubblica, delle sue grandi doti di affabilità, di signorilità, di umana simpatia, di disponibilità senza limiti, pur in un personale tenore di vita semplice e parsimonioso.

Fu proprio in quegli anni, nel 1962, che accordandosi oltre che con gli amici spoletini, anche con il suo vecchio compagno di studi, Giuseppe Ermini, presidente di quel Centro di studi altomedievali che aveva ormai conquistato un posto di assoluto rilievo nel mondo scientifico internazionale, Antonini cominciò a inseguire la realizzazione di un sogno da decenni vagheggiato da Spoleto: la redenzione della Rocca. Il problema, come é noto, non era tanto di trasferire altrove il centinaio o poco più di detenuti allora reclusi in questo splendido castello, il problema era di non privare Spoleto di questo istituto penale, sia per i benefici economici, che esso pur sempre dava alla città, in grave crisi, sia per i pericoli che con la sua soppressione avrebbe corso il tribunale, già seriamente minacciato nella sua sopravvivenza. Occorreva sfruttare le favorevoli circostanze create da un vasto movimento di opinione sul problema degli istituti di pena italiani e Antonini afferrò con prontezza i termini della questione e con la rapidità e la decisione degli uomini realizzatori, insieme con Ermini, e con l’aiuto prezioso di un prestigioso spoletino allora presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Giovanni Polvani, associando il Comune e l’Azienda del Turismo, fondò l‘Ente Rocca, del quale egli fu subito chiamato alla presidenza.

E qui Antonini compì il suo autentico capolavoro, dando un contributo fondamentale, decisivo alla costruzione del nuovo carcere. La pratica, iniziata nel febbraio 1969 con un colloquio al Ministero di Grazia e Giustizia con il direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena, Pietro Manca, favorito dal prezioso intervento del procuratore della repubblica presso il Tribunale di Spoleto, Vincenzo di Franco, nel corso del quale furono gettate le basi della scelta di Spoleto come sede di una nuova casa penale e della organizzazione delle seconde Giornate di difesa sociale, e si concluse nel luglio del 1975 con l’appalto dei lavori, attraverso lunghe e complesse fasi: la scelta dell’area ed il relativo finanziamento da parte del Comune, il finanziamento del progetto, che fu agevolato da un anticipo fornito dall’Ente Rocca, le varianti al piano regolatore, l’inserimento di Spoleto nella graduatoria delle località aspiranti ad accogliere nuove case penali, contrastato da altre città, che più volte misero in pericolo la decisione favorevole del Ministero, la lunga serie di approvazioni nelle diverse sedi competenti. Sei anni di intenso lavoro durante i quali cambiarono ministri, direttori generali, funzionari, la stessa amministrazione comunale: ma fortunatamente le leve della manovra erano saldamente nelle mani di Antonini.

Che il Comune, la Prefettura, i Ministeri di Grazia e Giustizia e dei Lavori pubblici ed altri enti abbiano in varia misura dato il loro contributo, questo é pacifico e nessuno ardirebbe contestarlo o disconoscerlo, ma che dietro questa complessa pratica e lungo tutto il suo difficile iter ci sia stata la costante azione, la volontà e la determinazione ostinata, la capacità di manovra e il generoso concorso finanziario di Luigi Antonini, attentissimo oltre tutto a curare i rapporti con la stampa nazionale, talora orientata a difesa di altri interessi, anche questa é una verità che nessuno dovrà mai dimenticare.

Egli era cosciente della importanza della realizzazione ed alla conclusione della vicenda preparò un libro bianco, raccogliendo con la sua meticolosa attenzione, tutta la documentazione relativa e volle significativamente porvi questo titolo: “La nuova casa penale di Spoleto e la conseguente liberazione della Rocca. Diario di un evento storico”. Più volte Antonini ha pensato di stampare questa voluminosa opera, ma sempre é stato sconsigliato da ovvii motivi di prudenza, perché in essa sono contenuti i nomi di tutti coloro che hanno operato per questa realizzazione, alcuni dei quali, per ragione del loro ufficio o della loro professione, hanno pagato con la vita o con gravi mutilazioni il loro tributo alla lotta al terrorismo: alludo al giudice Palma ed all’architetto Lenci. Tuttavia Antonini aveva voluto recentemente riprendere questo progetto e si era fatto rileggere questo testo; parlandone poche settimane or sono, egli confermava il proposito di farlo stampare ormai comunque, anche se ora affiorava in lui un certo scetticismo sulla utilità di un’opera che riteneva sorpassata e priva di interesse. Nulla di meno vero: quell’opera ha il valore di un autentico manuale di azione intelligente, concreta, tempestiva, costante, una pratica dimostrazione delle qualità che uomini, istituzioni pubbliche ed enti debbono mostrare quando si prefiggono veramente di realizzare una iniziativa importante. Essa mette in rilievo tutte le doti, in chiaro ed in trasparenza, di Luigi Antonini e costituisce la testimonianza di una sua storica benemerenza verso Spoleto.

E non si fermò qui l’interessamento di Antonini per la Rocca. Nel 1972 con gli Amici di Spoleto organizzò una tavola rotonda nella quale si cominciò concretamente a studiare il problema del restauro del monumento e della sua possibile utilizzazione. Nel 1976 si interessò di raccogliere tutta la documentazione necessaria per avviare lo studio del restauro e, all’inizio del 1977, quando i lavori di costruzione del nuovo carcere erano molto avanzati e cominciava ad essere urgente formulare un progetto di utilizzazione della Rocca, sul quale veniva intanto sbizzarrendosi la fantasia degli spoletini, nell’assenza totale di iniziativa degli enti locali, fu l’Ente Rocca a promuovere la costituzione di un apposito comitato su base regionale, la cui presidenza fu affidata a Luigi Antonini, il quale interessò, nel corso dei lavori, anche l’Istituto italiano dei castelli; e fu in quella sede che ebbe origine il progetto di destinazione polifunzionale della Rocca, come sede di mostre, congressi, concerti, sede degli spettacoli del Festival e di altri enti eventuali, sede del Museo del Ducato di Spoleto. E, nel quadro di questo museo, l’Ente Rocca avanzò la proposta di chiedere il trasferimento nel Castello spoletino del Museo dell’Altomedioevo di Roma, o quanto meno di quella parte, forse la più bella e preziosa, proveniente dagli scavi delle necropoli di Nocera Umbra e di Castel Trosino, cioè da località che appartennero al nostro ducato longobardo; questa importantissima proposta fu accolta favorevolmente in diverse sedi, anche con l’autorevole avallo del Centro italiano di studi sull’alto medioevo che nel 1981 approvò un deciso ordine del giorno, richiamandosi ad analogo, quasi profetico, documento approvato nel lontano 1952, ed entrò poi ufficialmente nel progetto di costruzione del museo spoletino elaborato da una commissione allargata che subentrò, dopo il 1981, a quella costituita dall’Ente Rocca.

Mentre Antonini veniva sviluppando questa azione alla presidenza di quell’Ente favorendo anche altri convegni, le mostre d’arte figurativa, una serie di pubblicazioni dell’Ente e di altri organismi, quel ciclo di concerti d’organo, sua personale indovinatissima iniziativa, una delle più significative e congeniali di questi ultimi anni, attraverso la quale diede anche un importante contributo al salvataggio ed al restauro di antichi organi del territorio spoletino, potenziava sempre più l’opera degli Amici di Spoleto, iniziando anche la feconda stagione dei restauri a monumenti cittadini, particolarmente all’inizio quelli dell’ambulacro di via dello Spagna, del portico di Loreto, del campanile di S. Gregorio, della chiesa e del chiostro di S. Nicolò, iniziative che richiamarono poi, dal 1972, gli interventi preziosi ed i contributi per altri importanti restauri della Mobil Oil Italiana, per merito di lsolina Barbiani, della Kress Foundation, per merito di Franca Pironti, e di benemeriti privati; egli diveniva sempre più il protagonista della vita sociale e culturale di Spoleto, entrando in famigliarità con un gran numero di cittadini. Era la stagione migliore della sua vita, quando appariva ancora nella piena maturità fisica ed intellettuale, ormai alle soglie degli ottanta anni.

Luigi Antonini era infatti nato a Roma il 22 ottobre 1886. Suo padre l’ing. Umberto e sua madre, Gilda Bianca Soldini (di cui resta nel palazzo romano un bel ritratto del pittore spoletino Arcioni) appartenevano all’alta borghesia. Una sorella della madre aveva sposato un Serafini, altra illustre famiglia romana, cui appartenne il marchese Camillo, primo governatore della Città del Vaticano dopo il 1929, e da qui nacque una intimità tra queste due famiglie, che si concretò, tra l’altro, nell’acquisto comune che esse realizzarono nel 1891 di due ville sul Colle dei Cappuccini, dove gli Antonini ed i Serafini, famiglie molto numerose, venivano a villeggiare a turno un anno ciascuna. Quando poi i Serafini si ritirarono da Spoleto, gli Antonini vendettero quello che è poi divenuto il villino Milani e completarono l’altra villa che era stata costruita dallo svizzero Walter Fol. Comunque fin dall’infanzia Luigi e le sue sorelle furono soliti trascorrere i lunghi periodi dell’estate a Spoleto, restando poi sempre affettuosamente legati a questi ricordi.

Dal 1915 al 1917 Antonini fu iscritto all’Università di Roma per gli Studi di scienze fisiche e matematiche e dal 1917 al 1921 alla Scuola di applicazione per gli ingegneri. Ma in larga parte di quegli anni la sua frequenza fu interrotta dalla partecipazione alla guerra, dal 1915 al 1919, prima come sottufficiale, poi come ufficiale del Genio zappatori. Nel 1921 si laureò in ingegneria; entrato nella Società A.E.G., lavorò a Berlino tre anni dal 1922 al 1925, perfezionando anche la conoscenza della lingua tedesca, che usava, quando necessario, anche negli ultimi anni, e poi, sempre nella stessa società visse a Milano dal 1925 al 1929. Rientrato a Roma, dal 1930 fu direttore Centrale della Società MATER, che gestiva cinque stabilimenti a Roma, Milano, Napoli, Genova e Palermo, e ciò lo portava a frequenti viaggi in queste città, nel 1956 si dimise e cessò ogni attività professionale.

Per la posizione sociale della sua famiglia aveva numerose aderenze soprattutto a Roma ed aveva assimilato lo spirito di quella città; era la Roma post-belliana di Trilussa, del sor Capanna, di Luigi Lucarelli, del Travaso, di Pascarella, di Zanazzo, di Petrolini, era questa la Roma che egli conosceva ed amava e di questa ultima felice stagione di autentico spirito romanesco egli aveva molto assimilato. Proprio perciò, con verve insospettabile in un uomo che in fondo era dotato soprattutto di cultura tecnica e di indole prammatica, egli amava la conversazione arguta cui contribuiva con inesauribile bagaglio di battute di spirito, di racconti, di scherzosi ricordi, talora sfruttando la sua aggraziata voce tenorile per accennare alcune delle più belle canzoni di quell’epoca. Un uomo impagabile, la cui compagnia era sempre più ricercata, la cui affabilità, la cui premurosa signorilità lo rendevano stimato da tutti coloro, di qualunque ceto, avessero occasione di trattare con lui: veramente si può dire che non avesse nemici, perché il suo carattere lo portava ad unire più che a dividere, a costruire amicizie senza mai prestarsi alla meschinità delle gelosie e delle maldicenze. Qualche amarezza non gli mancò, ma ne fu appena sfiorato, senza subirne tracce o covare risentimenti, troppo bene egli conosceva l’animo umano.

Per questi motivi, quando nel 1965 fu costituita la Fondazione Festival dei due mondi sembrò del tutto naturale che ne fosse affidata a lui la presidenza. Anche qui egli diede il suo contributo di efficienza, di rigore morale, di signorilità, di generoso impegno, soprattutto per la soluzione dei ricorrenti spinosi problemi del finanziamento dell’iniziativa e della sua sempre più complessa gestione. è difficile negare che una parte non secondaria del successo dei Festival degli anni 60 e70, nel versante di quelle che chiameremo pubbliche relazioni, sia dovuta ai ricevimenti che egli offriva nella sua splendida villa al Colle Attivoli, dopo il concerto finale in piazza, a centinaia di amici spoletini e di autorità e ospiti illustri dando egli stesso il via, a mezzanotte, al festoso spettacolo di fuochi artificiali; era, quella, una impareggiabile occasione anche di incontri di grande utilità per il Festival, per la città e per le iniziative che Antonini realizzava: come non ricordare, tra tanti, la presenza del presidente Cossiga, allora ministro dell’interno e come non ricordare la viva, cordiale amicizia con Picella, segretario generale della Presidenza della Repubblica, che fu determinante in più di una occasione per la soluzione di problemi cittadini.

Giustamente, nel pieno di questo intenso periodo, nel 1972 il Comune di Spoleto volle offrire a Luigi Antonini il massimo riconoscimento, del quale egli fu sempre veramente orgoglioso; con solenne cerimonia gli conferì la cittadinanza onoraria. Dopo la metà degli anni ‘70, avvicinandosi al suo 80° compleanno, Antonini avvertì l’esigenza di concedersi se non proprio un meritato riposo (si pensi che a 84 anni egli compì il suo primo ed unico volo niente di meno che a New York e Charleston), almeno un rallentamento della sua attività e provvide ad avviare il ricambio generazionale nella presidenza di vari enti; volle perciò gradualmente abbandonare la gestione diretta degli Amici di Spoleto nel 1975, della Fondazione Festival nel 1981, dell’Ente Rocca nel 1982. Ed è da ricordare che in quegli anni egli era stato anche presidente del Rotary Club di Spoleto nel biennio 1973-74, presidente della Società Polvani dal 1978 al 1982, socio dal 1965 e consigliere della Cassa di Risparmio di Spoleto dal 1976 al 1981.

Si chiudeva in un certo senso il periodo della diretta e fervida attività pubblica, durato all’incirca un ventennio, anche se Antonini rimase poi sempre un prezioso, carismatico punto di riferimento ed il consigliere più ascoltato e mai dimenticato, tanto è vero che l’Associazione Amici di Spoleto, non appena, con la Cassa di Risparmio, istituì uno speciale riconoscimento da destinarsi ai benemeriti di Spoleto, gli conferì per primo la Lex spoletina, nel 1982.

Proprio nel periodo in cui Antonini si preparava al distacco dalla gestione attiva di tante iniziative, maturò in lui il proposito di dar vita ad un diverso tipo di presenza a Spoleto, discreta, duratura ed efficacissima, e così egli compì il gesto più alto e nobile del suo generoso mecenatismo: creò, nel 1972, insieme con le sue sorelle Francesca e Valentina, la “Fondazione Francesca, Valentina e Luigi Antonini”, dotandola di un capitale modesto all’inizio, ma che ben presto, e con continuità, incrementò poi con le altre donazioni fino agli ultimi giorni della sua vita. Egli ne tenne la presidenza fino al 1986, cedendola poi al suo nipote e figlio adottivo Enrico Corsetti Antonini, nel quale aveva voluto che fosse tramandato anche il suo cognome; della Fondazione egli rimase sempre, come é ovvio, l’animatore sapiente ed il geloso custode dello spirito informatore originario.

La sua modestia e la sua ritrosia a qualunque forma di pubblicità che lo avrebbe infastidito, hanno fatto sì che troppo poco in città si sia conosciuto di questa istituzione: ma ora é giunto il momento di rendere piena giustizia a questo grande benefattore e di render pubblica, anche se succintamente, quale é stata l’entità delle erogazioni e la specifica utilità di esse. A tutt’oggi, praticamente dal 1976, la Fondazione ha elargito contributi per quasi 750 milioni1#. Tra le voci più importanti ricorderò la dotazione a ciascuna delle Scuole medie cittadine di una classe di computers per una spesa di 170 milioni: questa iniziativa pone Spoleto all’avanguardia in campo nazionale come l’unica città, o quanto meno una delle pochissime, in possesso di tali apparecchiature di fondamentale utilità per la formazione della gioventù locale, e poi il finanziamento del progetto affidato al famoso urbanista giapponese Kenzo Tange per uno studio sulla viabilità cittadina per 156 milioni; il sostegno alle attività musicali di giovani e valenti professionisti spoletini per oltre 57 milioni; il finanziamento dei concerti d’organo, ormai stabilmente assunti dalla Fondazione, per 50 milioni; l’organizzazione di tre mostre di antichi soldatini da collezione per oltre 55 milioni; il finanziamento di varie pubblicazioni dell’Ente Rocca e di altre istituzioni per 48 milioni; la fornitura di apparecchiature scientifiche e di attrezzature a scuole, musei, enti vari per 50 milioni; il ripristino della illuminazione dei monumenti cittadini per oltre 11 milioni; l’acquisto di un’opera d’arte in pericolo di dispersione per 10 milioni; il contributo a vari congressi per oltre 33 milioni, il contributo a vari restauri per oltre 32 milioni, e infine  adesione come socio fondatore alla Fondazione Festival, con il contributo anche per l’adesione della “Associazione Amici di Spoleto”. Tutte cifre che, ovviamente, si riferiscono ai vari momenti di erogazione e la cui entità andrebbe quindi rapportata al valore odierno della lira, il che eleverebbe notevolmente l’importo totale.

Viene spontaneo di chiedersi quante di queste iniziative così utili sotto ogni profilo si sarebbero realizzate senza il contributo della Fondazione Antonini: ma forse é una domanda retorica. Questa é dunque l’eredità preziosa che Luigi Antonini ha lasciato alla città di Spoleto. Questo é il quadro della sua generosità pubblica, e ad essa si é sempre accompagnata, nei modi più riservati, delicati e discreti, una forma di generosità alimentata dal suo animo sinceramente cristiano e profondamente comprensivo delle altrui difficoltà; si può esser certi che nessuno di coloro che gli hanno steso la mano, stretti dal bisogno, l’abbia ritratta senza il suo concreto conforto.

Luigi Antonini: una pagina di storia spoletina! Ora che egli se ne è andato silenziosamente, e possiamo ben dire inopinatamente, per le inevitabili conseguenze di un banale incidente che hanno piegato una fibra la cui resistenza meravigliava perfino i suoi medici curanti, si é sentito urgente il bisogno di rievocare, con brevità e semplicità, ma andrà comunque fatto poi con la dovuta ponderatezza e con la necessaria ampiezza, la vicenda della sua lunga vita, in un affollarsi di ricordi e di sentimenti, che ce lo ripresentano quale egli fu per noi tutti, amabile ed affettuoso.

Lo ricordiamo qui, e altri lo hanno fatto e lo faranno in diverse sedi, senza retorica, e così egli avrebbe tanto voluto, come in un incontro di amici, che parlano di uno di loro, che non é presente, che non sarà mai più presente.

Ma se noi sentiamo tutti profondo e sincero il dolore per questa perdita, lo sconcerto per questa assenza improvvisa dopo così lunga consuetudine di famigliarità e cerchiamo nella memoria e nel cuore un luogo privilegiato in cui serbare il ricordo affettuoso di questo caro amico, pensiamo alla nostra Spoleto, alla sua Spoleto; anche questa città ha perduto un grande amico, ma di lui conserverà l’eredita preziosa del suo esempio animatore, delle realtà che egli ha contribuito a costruire, della sua illuminata generosità.

Giovanni Antonelli

Giovanni Antonelli
(Spoleto, 27 gennaio 1919 – Spoleto, 27 maggio 2009)
Dopo la laurea in Lettere con tesi di Storia Medievale e l’esperienza di guerra, ha svolto una intensa e lunga carriera negli Archivi di Stato, con incarichi internazionali direttivi presso l’Unesco, conclusa con il rango di direttore generale nel 1976. Si è poi dedicato a molte iniziative culturali, soprattutto legate alla sua amata Spoleto e all’Umbria; fra le altre il deciso impulso alla fondazione (nel 1952) del Centro Studi sull’Alto Medioevo, da lui poi diretto per trentacinque anni, la creazione e la direzione trentennale della rivista Spoletium, la presidenza degli Amici di Spoleto, la direzione della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria fra il 1984 e il 1996.

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